31 marzo 2011

Il mio primo PowWow: riflessioni


Capita di lavorare con un collega su uno stesso progetto parlandosi solo per e-mail. Capita di conoscerne un altro che abita non poi così distante da te dopo uno scambio di opinioni. Capita di cercare un’informazione e trovarla, insieme a chi te l’ha regalata.
Capita anche di incontrare, finalmente, dal vero colleghi che fino a poche ore fa erano una foto su un sito, un indirizzo di posta elettronica, un commento su un blog. E capita anche di incontrarne altri di cui non si conosceva l’esistenza, ma che abitano a pochi chilometri e lavorano nel tuo stesso settore.
Tutto questo (e molto di più) al primo PowWow a cui ho partecipato la settimana scorsa.
Come dice Wikipedia: Il powwow (anche pow-wow o pow wow o wau Pau) è un insieme di persone native del Nord America. La parola deriva da powwaw, che nella lingua della tribù dei Narragansett significa "leader spirituale".
Un powwow moderno è un tipo specifico di evento in cui la gente si incontra per danzare, cantare, socializzare e onorare la cultura degli indiani d'America. A volte c'è anche una gara di ballo con premi in denaro. I powwow possono durare da un minimo di un giorno e cinque ore ad un massimo di tre giorni. I powwow più lunghi di tre giorni durano in genere una settimana intera e servono a celebrare un'occasione speciale.
Il termine inoltre è stato usato per descrivere ogni raduno di nativi americani di ogni tribù.
Nel mio caso si è trattato di una riunione amichevole fra traduttori della zona di Torino (anche se qualcuno arrivava da più lontano). Il momento conviviale e piacevole è servito anche a conoscere di persona alcuni colleghi virtuali e altri che non si conoscevano proprio. Parlando a quattr’occhi i traduttori generalmente solitari si possono confrontare meglio su tematiche e problemi di tipo lavorativo. A volte scoprire che qualcun altro ha dovuto affrontare lo stesso problema, ha la stessa opinione su un cliente/argomento, ti aiuta a sentirti meno solitario davanti all’”impersonal” computer. Generalmente queste riunioni di traduttori hanno un tema di discussione, questo a cui ho partecipato era mirato alla creazione di una rete di mutuo soccorso fra traduttori specializzati in campi diversi. Per chi traduce in campo medico è rassicurante sapere di poter contare su un collega specializzato nel legale o in campo informatico per risolvere eventuali dubbi terminologici.
L’idea di questa rete di traduttori mi sembra ottima, per vari motivi. Oltre che come sorta di mutuo soccorso, è possibile lo scambio di lavori/clienti: se un cliente mi contatta per una traduzione in un campo poco familiare, invece di declinare la richiesta la posso dirottare ad un collega fidato (che prima o poi, si spera, ricambierà il favore), senza perdere il cliente. Inoltre, c’è l’idea di non essere così isolati e soli, di avere comunque dei colleghi con cui chiacchierare e confrontarsi. I traduttori non hanno un albo professionale. Il passaparola e l’unione possono però rivelarsi utili in alcune situazioni (quali, ad esempio, lo scarso riconoscimento della nostra figura professionale).
E in un periodo di individualismo, egoismo e corsa al successo, creare una rete di contatti e aiuti mi appare come un’oasi nel deserto. Non è vero che, essendo liberi professionisti, si è tutti contro tutti. Possiamo lavorare tutti senza farci le scarpe, anzi aiutandoci e sostenendoci.
Anche tralasciando tutti gli altri motivi per cui questo powwow è ben riuscito, mi sembra una iniziativa utile dal punto di vista umano e professionale.
Allora W il PowWow.

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